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Archive for settembre 2022

FRANCESCO CILEA

Francesco Cilea nasce a Palmi di Calabria il 23 luglio 1866 e muore a Varazze il 20 novembre 1950.

E’ un compositore italiano.

Francesco Cilea nasce da Giuseppe Cilea e Felicia Grillo; sua moglie sarà Rosa Lavarello.
E’ originario della provincia di Reggio Calabria e, secondo i suoi ricordi di ragazzino, sin da tale età, si vuole dedicare alla Musica, dopo aver ascoltato il finale dell’opera “Norma” di Vincenzo Bellini eseguito dalla banda cittadina.

Inizia gli studi al Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli sotto la guida di Beniamino Cesi, dove si distingue per diligenza e ingegno veloce, guadagnando una Medaglia d’Oro dal Ministero della Pubblica Istruzione e una nomina di “Primo Alunno Maestrino”.

1889: al termine degli studi, Cilea presenta – quale “prova finale” – l’opera “Gina”, che viene rappresentata nel teatrino del Conservatorio, ottenendo successo.
L’Editore Sonzogno apprezza il lavoro e commissiona a Cilea “Tilda”, un’opera verista in tre atti brevi, simile a “Cavalleria rusticana”.
Il librettista è Angelo Zanardini e, il 7 aprile 1892, la “Tilda” esordisce con successo al Teatro “Pagliano” di Firenze.
Seguiranno rappresentazioni in vari teatri italiani, dopodiché giunge al “Teatro dell’Esposizione” di Vienna il 24 settembre 1892 insieme alle altre opere della Casa Sonzogno.
Da sempre, Cilea non prova molta simpatia per quest’opera e, a malincuore, accetta di musicarla solo per cortesia verso Sonzogno e non rovinare un buon rapporto professionale.
A causa dela perdita della partitura orchestrale, non è stato possibile riproporre quest’opera in tempi abbastanza recenti: opera con melodie fresche e orecchiabili che, però, si possono tuttavia conoscere attraverso la riduzione per canto e pianoforte.
Giugno 2021: fortunatamente, per mezzo della recente orchestrazione del musicologo-compositore Giancosimo Russo, è stato possibile riorchestrare l’opera, con esecuzione di alcuni estratti da parte della Filarmonica “Arturo Toscanini” di Parma diretta da Yves Abel, trasmessa poi su Radio3.

27 novembre 1897: sera, al Teatro “Lirico” di Milano, esordisce la terza opera di Cilea, “L’Arlesiana”, su libretto di Leopoldo Marenco tratto dal dramma di Alphonse Daudet, con un giovanissimo Enrico Caruso che ottiene grande successo con “Il lamento di Federico”, la romanza che, ancora oggi, mantiene viva quest’opera.
< L’Arlesiana è un insuccesso, per la verità: Cilea è convinto del valore dell’opera e tenta di rimediare più volte, subito dopo la “prima”, fino agli ultimissimi anni. Il rilancio dell’opera consegue successo per un breve periodo, durante gli Anni Trenta, in virtù delle sanzioni imposte all’Italia dalla Società delle Nazioni (a seguito della conquista dell’Etiopia), per cui Mussolini in persona ordina ai teatri di eseguire solo opere italiane. “In questa occasione ebbi fortuna”, dice Cilea. >

6 novembre 1902: ancora al Teatro “Lirico” di Milano, con “Adriana Lecouvreur”, Cilea riscuote grandi applausi.
Si tratta di un’opera in quattro atti su libretto di Arturo Colautti, tratta da un lavoro di Eugène Scribe, ambientata nel Settecento francese.
E’ l’opera di Cilea più conosciuta al pubblico mondiale e “rappresenta la spontaneità di un melodismo di scuola napoletana e una scrittura armonica e timbrica aggiornata sui recenti modelli francesi”.

Sera del 15 aprile 1907: “Gloria”, idem su libretto di Colautti, è una tragedia in tre atti, è tratta da un lavoro di Victorien Sardou ed è l’ultima opera di Cilea; è rappresentata al Teatro “Alla Scala” di Milano sotto la direzione di Arturo Toscanini.

Un boicottaggio teatrale dell’editore Ricordi all’ “Adriana” non viene difeso efficacemente da Sonzogno, per cui si sente spinto a lasciare per sempre il teatro d’opera, nonostante alcuni progetti operistici seguenti sopravvivono come “Il ritorno dell’amore” di Renato Simoni, “Malena” e “La Rosa di Pompei” di Moschino.

Cilea continua con la musica da camera, vocale e strumentale, e con la musica sinfonica.
1913: risale un poema sinfonico in onore di Giuseppe Verdi, su versi di Sem Benelli, eseguito al Teatro “Carlo Felice” di Genova.

Dirige il Conservatorio “Vincenzo Bellini” di Palermo e il “Conservatorio San Pietro a Majella” di Napoli, dove termina la sua carriera di didatta.

Cilea muore il 20 novembre 1950 a Varazze, comune ligure che gli offre la cittadinanza onoraria e nella quale trascorre gli ultimi anni della sua vita, ma riposa nella sua città natale, Palmi, a cui lascia ricordi, testimonianze di musicista e biblioteca: sono conservati nella “Casa della Cultura”, custodita nel sacello del Mausoleo elevato in suo onore, inaugurato il 28 novembre 1962, nel quale è riportato, in caratteri di bronzo, il suo ultimo pensiero alla città, scritto in una lettera diretta al Sindaco: “Vi prego di dire alla nostra diletta Palmi tutta la mia filiale riconoscenza e tutto il mio amore. Ditele che essa resterà sempre nel mio cuore con un attaccamento sempre più vivo e tenace, quanto più il cumulo degli anni affretta il mio distacco dalla vita.”

Considerazioni sull’artista:

Cilea è un musicista colto e raffinato; riesce ad amalgamare l’esperienza del Verismo musicale italiano con la tradizione lirica francese.
Si distingue per la vena melodica, la finezza di orchestrazione e la ricerca del colore orchestrale, determinate soprattutto dal “modello” Jules Massenet.
Per cui, il meglio di Cilea viene espresso attraverso la struggente e dolce malinconia, con meditazione e rimpianto.

Intitolazioni:

Alla sua memoria sono stati intitolati il Conservatorio e il Teatro di Reggio Calabria, mentre il suo paese natale, Palmi, gli ha eretto un Mausoleo oltre ad una via del centro storico cittadino.

Composizioni:

Numerose sono le composizioni di Cilea, oltre ai cinque melodrammi qui di seguito elencati:

Gina (1889)
La Tilda (1892)
L’Arlesiana (1897)
Adriana Lecouvreur (1902)
Gloria (1907)

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Francesco Cilea:

https://it.wikipedia.org/wiki/File:Francesco_Cilea.jpg






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Stile di Čajkovskij: Internazionalismo e varietà stilistica.

L’ampia varietà stilistica di Čajkovskij spazia dall’opera lirica, dalla musica da ballo al genere della sinfonia, con spirito cosmopolita.
Studia per tutta la vita e si forma su musica dell’Europa Occidentale.
Mozart è il suo compositore prediletto e si ispira anche agli operisti italiani (in particolare a Rossini, Verdi e Bellini), alla Nuova Scuola Francese di Bizet e Massenet, ai Romantici Tedeschi (fra cui Schumann il più amato), conferendo alla sua arte un respiro fortemente internazionale.
Igor’ Fëdorovič Stravinskij non si stancherà mai di spendere parole di elogio ed ammirazione, definendolo “il più russo di tutti i musicisti popolari ucraine sulla musica di Čajkovskij:


Influenze popolari ucraine sulla musica di Čajkovskij:

Molte composizioni di Čajkovskij si ispirano a temi o melodie della musica popolare ucraina o li incorporano: ne sono esempi le sue opere “Mazepa”, “Gli stivaletti”/”Il fabbro Vakula”; le sinfonie “n. 2, Piccola Russia” e “n. 4”; il “Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 in si bemolle minore”; l’ “Ouverture 1812” (il cui tema iniziale si basa sul primo modo del canto liturgico di Kiev).

Orchestrazione:

Come altri musicisti romantici, Čajkovskij, compositore poliedrico, si basa moltissimo sull’orchestrazione: essa dà effetti musicali di un certo significato.
Inoltre, sperimenta dalla “Terza Sinfonia”, liberando la sua sensibilità timbrica e l’importanza che attribuisce ai colori dell’orchestra, conseguentemente, “relega” la produzione pianistica in secondo piano (nonostante la straordinaria fama guadagnata dal suo primo “Concerto per pianoforte e orchestra”).

Eredità:

È stato chiarito che “E’ essenziale la collocazione storica del musicista e degli altri compositori russi (suoi contemporanei, antecedenti e posteriori), però lui è il musicista che risolve la determinazione dell’influenza russa nella storia della musica europea di oltre due secoli”.
Grazie alla sua preparazione accademica, crea una musica che riflette il carattere nazionale russo e che, contemporaneamente, è all’altezza della complicazione della musica classica europea, consentendole di passare i confini culturali della Russia, permettendo alla Russia stessa un posto nella storia della musica europea “.

Letteratura e cinema:

E’ stato detto che ” Pëtr Il’ič Čajkovskij nella letteratura e nel cinema è rappresentato sotto molti aspetti: dalla biografia più o meno in senso tradizionale (e “diversa” secondo l’epoca in cui è stata stilata), alla biografia-romanzata o romanzo-biografico (come nel caso di quello di Klaus Mann: Sinfonia Patetica, 1935), al saggio-biografico, allo studio scientifico ed analitico.
Le diversità in tal senso sono comprensibili e costituiscono un arricchimento alla conoscenza della materia “.

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Fra le sue sinfonie, è splendida quella che racconta di Napoleone, ossia “Ouverture 1812”: https://youtu.be/VbxgYlcNxE8
Ascoltiamo il valzer dall’opera “Eugenio Onieghin” : https://youtu.be/mw9tT-DXDQE.

Ciaikovskij nel 1888:
https://it.wikipedia.org/wiki/File:Tchaikovsky2.jpg





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L’addio a Čajkovskij di Madame von Meck:

Con lettera datata 4 ottobre (Calendario Gregoriano) madame von Meck gli fa conoscere diverse disgrazie economiche successele e, nel post-scriptum, lo invita a scriverle a Mosca nonostante ora si trovi all’Estero.
Pochi giorni dopo Čajkovskij riceve una seconda lettera che gli comunica che, a causa di ulteriori e definitivi dissesti finanziari, non potrà più sovvenzionarlo, ma chiede di non essere dimenticata completamente e Čajkovskij, allarmatissimo, le risponde subito, mostrando il suo affetto, la sua fedeltà e la sua eterna riconoscenza.
Oltre a questo, è importante sapere che la von Meck sta attraversando anche un periodo di malattia, mentre la vecchiaia la porta ad essere sempre più dipendente dai figli, tanto che si ritrova a tenere il silenzio: dura prova per Čajkovskij.
Madame von Meck è lontana dalla Russia, e muore due mesi dopo il musicista a causa di tubercolosi.

1891: il Teatro “Mariinskij” gli commissiona l’opera lirica in un atto “Iolanta” e il balletto “Lo Schiaccianoci” da rappresentare nella stessa serata.
L’opera, è l’ultima composizione lirica del musicista ed è diversa da tutte le altre scritte perché tende al simbolismo e al panteismo, anticipazioni che saranno notate dalla critica.
In riferimento al balletto, è lo stesso Čajkovskij che fornisce la chiave di comprensione generale e di alcuni suoi elementi costitutivi attraverso una lettera precedente: «I fiori, la musica e i bambini, sono i gioielli della vita. Non è strano che amando tanto i bambini il destino non mi abbia dato di averne?».

Un’oscura e misteriosa fine: colera o suicidio?

La fama di Čajkovskij è all’apice.
Il giro negli Stati Uniti è per inaugurare i Concerti della “Carnegie Hall” e Čajkovskij trova l’America e gli Americani strani, curiosi e simpatici: vede un mondo davvero nuovo che lo festeggia ed onora come il “Re”; oltre ad essere assalito dai giornalisti, si accorge di essere popolare in America dieci volte di più che in Europa.

1892: Čajkovskij vede Gustav Mahler come direttore non comune che, ad Amburgo, alla sua presenza, dirige “Evgenij Onegin”.
In quei momenti, ascolta anche la “Cavalleria rusticana” di Pietro Mascagni, opera che gli piace molto.

Comincia a pensare ad una nuova sinfonia che raccolga la sua “vita”: tale sinfonia è l’atto finale, il riassunto di un’intera esistenza, vita, morte ed ufficio funebre.

Inizio 1893: è il suo ultimo anno di vita ed esegue un ultimo giro concertistico, dopodiché compone la sua ultima sinfonia, la “Pathétique”, la cui “prima” avviene il 28 ottobre 1893 a San Pietroburgo sotto la sua personale direzione.

L’Università di Cambridge lo insignisce del Dottorato in Musica, assieme a Saint-Saëns, Grieg, Boito e Bruch.

Čajkovskij muore nove giorni dopo e si ipotizza il suicidio, nonostante si parli di colera contratto bevendo acqua infetta, ma è più probabile l’avvelenamento da arsenico che genera una sintomatologia simile a quella del colera.
Pare che la spiegazione della versione “suicidio” sia dovuta alla relazione amorosa con il diciassettenne nipote del conte Stenbock-Fermor il quale, seccatissimo dalla cosa, è fortemente intenzionato a denunciarla direttamente allo Zar, per cui ne deriverebbe uno scandalo con conseguenze dannosissime per Čajkovskij, personaggio noto nel Mondo e “simbolo” per la Russia (la legge prevede la perdita di ogni diritto e l’esilio in Siberia).

Alle esequie di Stato, l’onore è pari solo allo storico Karamzin e a Puškin, lo Zar Alessandro III è atteso, ma rimane ad osservare la folla da una finestra.
Il suo commento: «Avevamo un solo Čajkovskij».
Il dono personale dello Zar posto sulla bara sono una corona di rose bianche ed un cuscino di velluto nero con le decorazioni di San Vladimiro, nella Cattedrale di Kazan’; il rito comprende migliaia e migliaia di persone.

Al momento della sepoltura si tengono diversi discorsi funebri, tra cui spicca quello del giurista Vladimir Gerard e, alle cinque del pomeriggio del 9 novembre, l’ultima persona che parla è il tenore Nikolaj Nikolaevič Figner, il primo interprete de “La dama di picche”.
Lev Tolstoj è significativo: «Mi dispiace tanto per Čajkovskij. Più che per il musicista mi dispiace per l’uomo intorno a cui c’era qualcosa di non completamente chiaro. Quanto improvviso e semplice, naturale ed innaturale, e quanto vicino al mio cuore».
Cimitero “Tichvin” (“Monastero di Aleksandr Nevskij” di San Pietroburgo): qui, si trova la tomba di Čajkovskij.
In tale Cimitero, sono sepolti molti altri artisti russi tra cui, gli emblematici appartenenti all’intero “Gruppo dei Cinque”.

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Le opere della piena maturità di Čajkovskij, fino al 1885:

Dopo il problema con la moglie ed il periodo di riposo seguito, si verifica una graduale ripresa: questo come quantità e qualità, decretando il successo in Russia e all’Estero fino al momento della morte ambigua, tanto che molti musicologi sono certi che – se Čajkovskij fosse sopravvissuto – avrebbe scritto ancora molta musica, con innovazioni e all’avanguardia: “La bella addormentata”, “Lo Schiaccianoci”, “Iolanta” e la “Sesta sinfonia (Pathétique)” hanno una particolare scrittura.
Infatti, da questo momento, le nuove composizioni sono tutte o quasi destinate alla celebrità, fra cui la “Suite n. 1, in Re minore op. 43” mentre, a Firenze, su invito della von Meck, cura la stesura di una nuova opera lirica: “Orleanskaja deva” (“La pulzella d’Orléans”), oltre all’omaggio alla sua amatissima Italia: il “Capriccio italiano, op. 45”.
Poi, compone la “Serenata per archi in Do maggiore” e l’ “Ouverture Solennelle «1812» “; la sua fama aumenta ancora e gli viene offerta la Direzione del Conservatorio di Mosca dopo la morte di Nikolaj Grigor’evič Rubinštejn, nel 1881, ma rifiutata.
Altri lavori: “Concerto in Re maggiore, per violino e orchestra, op. 35″ (stroncato da Eduard Hanslick, ma fra i lavori più popolari del musicista); il ” Trio in La minore, per pianoforte, violino e violoncello, op. 50″, intitolato «Alla memoria di un grande artista» ” dedicato a Nikolaj Rubinštejn; il “Concerto n. 2 in Sol maggiore per pianoforte ed orchestra, op. 44” del 1882.

Viaggiando molto, vede ed ascolta molto repertorio musicale del tempo, di ogni composizione e, nella sua corrispondenza, sono state ritrovate annotazioni critiche (ad esempio su Wagner: riscontra lunghissima “Tristano e Isotta” ma, di tale autore tedesco continuerà a prediligere “Lohengrin”).

Una sintesi della “Terza suite in Sol maggiore op.55” è una delle sue composizioni più dirette dallo stesso Autore (almeno 16 volte, in Russia, Europa ed America).

1885: Hans von Bülow dirige la” Suite n. 3, in Sol maggiore, op.55″, ottenendo grande successo, e lo zar e la Corte assistono ad una recita di “Evgenij Onegin”.
Čajkovskij, pochi mesi prima, ha un’udienza personale a Corte: riceve un’onorificenza e apprende dallo Zar Alessandro III di essere il Musicista della Famiglia Regnante.
Quest’ultimo avvenimento è un toccasana per la sua anima inquieta e affitta una casa in campagna, a Maidanovo, vicino a Klin, per cui dirà: «Che gioia essere a casa mia… Capisco ora che il mio sogno di passare il resto della mia vita nella campagna russa non è un capriccio passeggero, ma un’esigenza naturale e profonda».

Gli ultimi anni di Čajkovskij:

La terza ed ultima casa del musicista, a Klin, dal 1892, oggi “Museo Čajkovskij”:

1885: elezione di Čajkovskij a Direttore della Sezione Moscovita della Società Musicale Russa che, a quei tempi, è un’istituzione-fulcro.
Čajkovskiji mantiene i suoi rapporti con parenti, amici e la von Meck come in passato.

Inoltre, dorme di più, fuma e beve di meno e conduce una vita regolare psicofisica ordinata, al contrario della sua vita passata di persona nevrotica; il suo umore è buono, nonostante qualche crisi depressiva, spesso provocata da un episodio non molto importante, come la partenza di un amico, un tramonto, il paesaggio russo, un ricordo lontano.
Nella notte dell’anniversario della morte della madre, non dorme per niente dopo avere ritrovato lettere dell’epoca; infatti, scrive, al riguardo: «La nostalgia di mia madre…che amavo di un amore morboso ed appassionato…».

1885: i figli della von Meck cominciano a lamentarsi a causa delle sovvenzioni che Madame continua ad elargire al musicista, nonostante le condizioni economiche dell’artista siano migliorate.

A Parigi, 1886: frequentando caffè, ristoranti e ritrovi vari, “mignons” ufficiali e incontri occasionali, Čajkovskij prova una delle più grandi emozioni della sua vita: in casa della cantante Pauline Viardot vede l’autografo manoscritto di “Don Giovanni” di Mozart e ne rimane sconvolto.
Per lui è come parlare con il grande artista: «Ho sfogliato per due ore la partitura originale di Mozart. Non posso descrivere l’emozione provata nell’esaminare il sacro oggetto. Mi è sembrato di stringere la mano a Mozart in persona e chiacchierare con lui»

1887-1888: un anno questo che vede altri viaggi all’Estero per la direzione di proprie composizioni, anno in cui crea molte composizioni e la “Sinfonia n. 5 in Mi minore op. 64”.

Tornato in Russia, si trova in posizione di vita sicura: una nuova sistemazione sempre vicina a Klin, esattamente a Frolovskoe, in campagna, e l’assegnazione di un vitalizio annuo di tremila rubli che lo Zar gli accorda “motu proprio” come segno della sua alta considerazione, oltre ai proventi da lavoro e dalla pensione della von Meck (nonostante Čajkovskij sia uno “spendaccione” per sé e per gli altri: questo comportamento generoso lo ha sempre dimostrato come conseguenza del suo carattere insicuro e complicato).
In questi anni, compone anche altre opere liriche: “Mazepa” (1881-1883), “Čerevički” (“Gli stivaletti”, del 1885: si tratta di una rielaborazione de “Il fabbro Vakula”) e “L’incantatrice”, (1885-1887).
Nel settore orchestrale, compone la Sinfonia “Manfred” (del 1885) e la “Suite n. 4, in sol maggiore, op. 61” (del 1887).

1888: all’Estero, tocca anche Lipsia, dove conosce Johannes Brahms (non risulteranno simpatici a vicenda), Grieg (che, invece, gli risulta simpatico) e Praga, dove conosce Antonín Dvořák (che già lo apprezza moltissimo e con il quale instaura un buon rapporto nato spontaneamente).

Una commissione importante riguarda il suo secondo balletto “La bella addormentata”, che vede la presenza dell’imperatore alla prova generale e che commenta semplicemente «Molto grazioso!», provocando il risentimento del musicista: «Sua Maestà mi ha trattato molto sbrigativamente. Dio sia con lui.».
La prima interprete è la celebre Carlotta Brianza assieme a Pavel Gerdt e al celebre Enrico Cecchetti.

1889: è ammirato ed entusiasta della “scoperta” del fonografo, apparecchio che giudica la più interessante invenzione del suo secolo.
14 ottobre 1889: Čajkovskij scrive, in francese, nell’album dell’ingegner Block:
«Il Fonografo è certamente l’invenzione più sorprendente, bella ed interessante, tra tutte quelle che onorano il XIX secolo! Gloria al grande inventore Edison!»

1890: parte per Firenze dove appronta “La dama di picche” su libretto del fratello Modest, opera sentititissima e fatalista che si ispira anche alla “Carmen” di Bizet.

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L’incontro con Nadežda von Meck, la mecenate del compositore:

Risulta chiaro che Čajkovskij presenta una personalità complessa sotto diversi aspetti.

Nadežda Filaretovna von Meck è maggiore di nove anni di Čajkovskij ed è una russa di classe media che ottiene il titolo nobiliare sposando Karl von Meck.

Nel 1876, rimane vedova, ma si ritrova un’immensa fortuna.
Amante delle Arti e della Musica in particolare, diventa un “Mecenate” e, da buona dilettante, a quel tempo, cerca un giovane violinista che la possa accompagnare nel repertorio per solista e pianoforte.
Per mezzo di Nikolaj G. Rubinštejn, conosce il ventunenne Iosif Iosifovič Kotek, allievo di Čajkovskij e – tempo prima – uno degli amanti del musicista (Kotek è il tipico “rappresentante” del giovane maschio medio che fa perdere la testa al musicista, sereno sulla propria omosessualità).

La donna scrive la sua prima lettera al musicista il 30 dicembre 1876: «La prego di credere che con la sua musica la mia vita è davvero diventata più facile e piacevole» e la risposta arriva il giorno dopo e inizia un rapporto particolarissimo, fatto di “detto” e “non detto” tra i due, di una dipendenza spirituale reciproca,

Madame von Meck è una delle tre donne importanti, nella vita di Čajkovskij, assieme alla madre e alla sorella Aleksandra: a loro il musicista ricorre in diverse circostanze.

La von Meck diventa la principale finanziatrice del compositore a cui elargisce frequenti grosse somme di denaro ed un regolare mensile; la cosa avviene come un vero e proprio mecenatismo, oltre ad essere – la donna – anche una confidente privilegiata del musicista e la persona con cui intrattiene una fittissima corrispondenza ma che, per reciproca, concorde volontà, non si incontrano mai, salvo eccezioni dovute al caso o all’astuzia della von Meck, contro ben altri sentimenti del musicista, che temeva l’approccio fisico con lei, fermo nella sua costante idealizzazione dell’altro sesso.

E’ interessante ricordare che, nel 2013, uno dei canali culturali della televisione russa, ha mandato in onda un Concerto-drammaturgia dedicato al rapporto tra la von Meck e il musicista (vedi sezione “Letteratura e Cinema”).

Viaggi di Čajkovskij, in Italia:

1872-1890: il compositore visita l’Italia nove volte, Paese vicino al suo cuore, per cui sostiene che: «La natura italiana, il clima, le ricchezze artistiche, le memorie storiche che si incontrano ad ogni passo, tutto ciò ha un fascino irresistibile… Oh, Italia cento volte cara; per me sei come un paradiso.»

E’ affascinato da Venezia (soggiorna anche in “Riva degli Schiavoni”), è innamoratissimo di Roma, è frastornato da Napoli e predilige Firenze, in cui soggiorna otto volte: città che, quando la lascia confessa che «…l’impressione di un sogno dolce e meraviglioso. Qui ho provato una tale quantità di esperienze stupende-la città, i dintorni, i quadri, il clima sorprendentemente primaverile, le canzoni popolari, i fiori-che sono esausto.»

Il matrimonio e l’opera Evgenij Onegin, 1877:

Čajkovskij sta iniziando a stendere “Evgenij Onegin” e lo comincia dalla celebre “scena della lettera” di Tat’jana, in cui la donna esprime le sue pene d’amore.
Quasi contemporaneamente, una sua ex-allieva (che quasi non ricorda), Antonina Ivanovna Miljukova, minore di lui di nove anni, gli scrive una lettera-dichiarazione d’amore.
Poco convinto e contro il parere di amici e parenti, si decide per un matrimonio fulmineo. Nella lettera alla von Meck, ammette: «Ho deciso di non sfuggire al mio destino e che il mio incontro con questa ragazza è stato in qualche modo voluto dal destino».
E a Kaškin: «Amavo Tat’jana ed ero terribilmente arrabbiato con Onegin che vedevo come un bellimbusto freddo e privo di cuore e mi è parso di comportarmi molto peggio di Onegin».
Al fratello Modest (idem, apertamente omosessuale), nell’autunno del 1876, scrive che pensa al matrimonio non tanto per se stesso ma, più che altro, per i suoi familiari, in quanto è amareggiato dai pettegolezzi tenuti dalla collettività.

18 luglio 1877 del Calendario gregoriano: celebrazione delle nozze che si riveleranno disastrose e devastanti per la sua psiche, vista la repulsione fortissima verso la moglie che gli diventa ripugnante, per cui scivola nelle acque del fiume Moscova volendo attuare un suicidio “indiretto” e per cui – una volta che si è ripreso – si ritrova preda di un esaurimento nervoso.
Molti critici hanno percepito anche che questo suo “isolamento”, questa sua “diversità” lo spingono a scrivere una musica piena di grande “sofferenza”).

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Le prime composizioni di Čajkovskij:

Gli studi musicali post-diploma di Čajkovskij proseguono mentre lavora al Ministero della Giustizia, ma frequenta opere e concerti, per i quali diventa un viaggiatore: Londra, Belgio, Parigi, Germania, Italia.

Čajkovskij diventa allievo di Nikolaj Ivanovič Zaremba e, ancora prima di conseguire il diploma con una composizione “Alla gioia” (per soli, coro ed orchestra), lo stesso Nikolaj G. Rubinštejn, su suggerimento del proprio fratello, gli offre di trasferirsi a Mosca, per insegnare teoria nel nuovo Conservatorio.
Inoltre, studia composizione con Anton G. Rubinštejn e abbandona l’impiego statale nel 1863.
In quel periodo compone varia brani minori, del tipo di romanze per canto e pianoforte, di pezzi per pianoforte solo, un coro “Prima del sonno” (in origine a cappella poi rielaborato con l’aggiunta dell’orchestra) e un “Pezzo per archi in Sol maggiore Allegro, ma non tanto”.

1864: scrive “L’uragano”; si tratta di un’ “Ouverture in Mi minore, op. 76 postuma”, dal dramma omonimo di Aleksandr Nikolaevič Ostrovskij.

1865: dirige l’Orchestra del Conservatorio nella sua nuova “Ouverture in Fa maggiore per piccola orchestra” (prima versione).
A causa del carattere timido, la direzione orchestrale sarà sempre un problema fino a quando, con la maturità, diventa un interprete applaudito riguardante la propria musica e anche all’Estero.

1866: terminati gli studi al Conservatorio di San Pietroburgo, viene nominato Professore di Teoria e Armonia, mantenendo quel lavoro per dodici anni.

1866: compone la Sinfonia n. 1 in Sol minore, op. 13 (sottotitolo: “Sogni d’inverno”) che rielaborerà più volte.
E’ una composizione giovanile, ma che lo distingue già.
L’anno seguente è la volta della prima opera lirica portata a reale compimento: “Voevoda” (“Il voivoda”) dal dramma di Aleksandr Nikolaevič Ostrovskij.

L’opera consegue successo e quattro repliche ma non viene più ripresa, per cui Čajkovskij distrugge la partitura e conserva alcune parti che finiscono nell’opera lirica seguente “Opričnik” (“L’ufficiale della guardia”) e nel balletto “Il lago dei cigni” (comunque, viene ricostruita sui materiali d’orchestra e ripresentata nel 1949).

In quegli anni, si avvicina lentamente al “Gruppo dei Cinque” nonostante l’aperta ostilità verso Modest Petrovič Musorgskij.

Čajkovskij: le composizioni della prima maturità:

1868: si verifica l’episodio sentimentale con la cantante belga Désirée Artôt e si parla di matrimonio.
La cantante, invece, sposa un celebre baritono spagnolo, ma resta amica di Čajkovskij, con cui maniene una corrispondenza e incontra successivamente, tanto che il musicista, sotto l’influsso di tale amore platonico, scrive e le dedica le “Six Mélodies, op. 65” (del 1888).

Il lavoro compositivo si intensifica gradatamente, per il quale abbandona l’insegnamento.

1869: nell’Ouverture-fantasia “Romeo e Giulietta”, Čajkovskij fa confluire il programma letterario shakesperiano (secondo molti biografi), attorno a un amore di allora per un allievo del Conservatorio, il quindicenne Eduard Zak che, tragicamente, nel 1873, si toglie la vita a diciannove anni.

1870 -1872: nascono le opere liriche “Opričnik” (“L’ufficiale della guardia”) e, un poco più tardi, nel 1874: “Kuznec Vakula” (“Il fabbro Vakula”); quest’ultima è rielaborata sotto il titolo “Čerevički” (“Gli stivaletti”), nel 1885, ma i suoi lavori lirici teatrali più noti sono “Evgenij Onegin” (“Eugenio Onieghin”) e “Pikovaja dama” (“La dama di picche”).

Due nuove sinfonie si aggiungono: la cosiddetta “Piccola Russia, in Do minore, op. 17”, del 1872 (poi rivista) e la “Polacca, in Re maggiore, op. 29”, del 1875.
Inoltre il musicista si dedica alla cameristica con tre quartetti per archi, l’ “Op. 11 in Re maggiore” (1871) e che riscuote il consenso di un illustre ascoltatore, Lev Tolstoj, l’ “Op. 22 in Fa maggiore” (1874) e l’ “Op. 30 in Mi bemolle minore” (1876).
1874-1875: compone il celebre “Concerto n. 1 in Si bemolle minore, op. 23”.

1875: a trentacinque anni, Čajkovskij riprende a dare vita al balletto, musica che gli conferisce buona parte della fama (“Il lago dei cigni”, “La Bella Addormentata”, “Lo Schiaccianoci”).

1877: al Teatro “Bol’šoj”di Mosca, viene rappresentato “Lebedinoe ozero (“Il lago dei cigni”), op. 20″, scritto due anni prima durante una pausa di serenità spirituale.

Estate-Autunno 1876: crea il poema sinfonico op. 32 “Francesca da Rimini”, un altro dei suoi lavori per grande orchestra oggi più eseguiti.

1876: assiste alla “Carmen” di Georges Bizet, dopodiché presenzia alla “prima” assoluta della “Tetralogia” (“L’anello del Nibelungo”) di Richard Wagner.

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Un mio pensiero: ho letto che, zodiacalmente, il Segno del Toro, è il più incline alla Musica: guarda caso, Ciaikovski nasce il 7 maggio appunto appartenente a questa Costellazione.

Pëtr Il’ič Čajkovskij in una lettera a Sergej Ivanovič Taneev del 14 (26) gennaio 1891:
«…Sono sicuro che nelle mie opere appaio come Dio mi ha fatto e così come sono diventato attraverso l’azione del tempo, della mia nazionalità ed educazione. Non sono mai stato falso con me stesso. Quello che sono, buono o cattivo, lo debbono giudicare gli altri…»

Pëtr Il’ič Čajkovskij nasce a Kamsko-Votkinsk il 7 maggio 1840 e muore a San Pietroburgo il 6 novembre 1893.
Suo padre è un ingegnere minerario russo e la madre è la seconda moglie del padre, Aleksandra Andreevna d’Assier, una donna di nobili origini francesi e russe, ma nata a San Pietroburgo nel 1812.
Fra i suoi ascendenti, si mescolano anche sangue polacco, cosacco e tedesco.

Čajkovskij è un compositore russo del periodo tardo-romantico e i suoi lavori musicali sono notissimi, nel repertorio classico.

Il suo stile si forma sulla Musica Occidentale e non appartiene al famoso “Gruppo dei Cinque” (con basi date da Glinka, ma comprendente Balakirev, Borodin, Cui, Mussorgskij e Rimski-Korsakov), però mostra una diversa forma di stile per cui qualcuno lo ha definito “Il Verdi russo”: stile che lo porta al successo.

Čajkovskij studia Giurisprudenza, ma è un talento precoce, nel campo musicale.
Ai suoi tempi, l’istruzione musicale russa non ha regolamentazione e le opportunità di studiarla accademicamente sono limitate per cui, quado gli si presenta l’occasione di entrare nell’appena fondato Conservatorio di San Pietroburgo, abbandona la carriera di avvocato.
Al termine degli studi, crea un proprio stile musicale russo, abbinando convenzioni compositive della musica classica alla musica tradizionale russa, conseguendo la notorietà internazionale, anche se non sempre ben accettato dalla critica russa.

La morte della madre e varie negatività (di cui un motivo è dato dalla sua omosessualità: vive in un’epoca con diversa mentalità) lo portano alla depressione e, pare, al suicidio o ad una morte per avvelenamento.

Infanzia e giovinezza di Čajkovskij:

E’ il terzo di sette figli della coppia da cui nascono anche la sua amatissima sorella Aleksandra e il fratello Modest (uno dei due gemelli, suo vero confidente e suo futuro primo biografo).

Inizia a prendere lezioni di pianoforte all’età di cinque anni (dopo un primo intervento materno), da una serva liberata, Marja Markovna Palčikova.

La sua forte inclinazione e sensibilità musicali si manifestano all’età di cinque anni, causando la preoccupazione dell’istitutrice Fanny Dürbach (lei stessa lo racconterà al fratello Modest).
I rimproveri dell’istitutrice lo feriscono emotivamente, provocandogli dei traumi e complessi di colpa: infatti, la morte di un compagno di famiglia a cui ha trasmesso involontariamente la scarlattina lo fa sentire colpevole, per cui se ne dispera eccessivamente.
Inoltre, quando ha dieci anni, Pëtr viene separato dalla famiglia a seguito della sua iscrizione alle scuole preparatorie di San Pietroburgo e, qui, succede che il ritorno a casa della madre – dopo averlo accompagnato – gli provochi l’esplosione della disperazione.
Non è da dimenticare che, in famiglia, esiste una pericolosa predisposizione verso la nevrastenia e l’epilessia, tant’è vero che Čajkovskij – preoccupato – scrive al fratello Modest: “La sento come una spada di Damocle sul mio capo”.

1848: gli studi musicali proseguono con il pianista Filippov.

In compagnia della madre, assiste per la prima volta ad un’opera lirica e s’innamora della Musica ascoltando le opere “Una vita per lo Zar” di Michail Ivanovič Glinka e “Don Giovanni” di Mozart.
A proposito di “Don Giovanni”, Čajkovskij così dice: «A Mozart sono debitore della mia vita dedicata alla musica».
Oltre a scrivere anche in uno stesso articolo critico-musicale: «La musica di Don Giovanni è stata la prima musica ad avere su di me un effetto realmente sconvolgente. Mi ha condotto in un mondo di bellezza artistica dove dimorano solo i geni più grandi»
A questo punto, mi sembra giusto citare che Čajkovskij sostiene che “Il trattenersi dallo scrivere opere è un eroismo che io non possiedo” (fin dai suoi primi lavori, risulta evidente il fascino esercitato dall’opera, soprattutto da quella italiana).

Dopo avere superato l’esame per l’ammissione alla Scuola Imperiale di Giurisprudenza di San Pietroburgo, la frequenta per i successivi nove anni dove stringe amicizie che durano per tutta la vita, oltre a scoprire il fumo ed il bere (sarà sempre un accanito fumatore ed amante dell’alcool: quest’ultimo trasmesso, sicuramente, da suo padre).

Qui, si concretizzano anche le prime esperienze omosessuali dove, per Čajkovskij, molte amicizie (amorose e non) sono importanti e gli danno sostegno e gli sono punti di riferimento.

Frequentando la Scuola di Giurisprudenza Pëtr Il’ič, ha ampio modo di frequentare il teatro d’opera e di prosa quanto il balletto, con le sue famose “étoiles”, che gli diverranno utili.
Nella Scuola stessa prende lezioni di canto corale (ha una bella voce di soprano, ossia “voce bianca”) e riprende lo studio del pianoforte con il famoso costruttore di strumenti Becker

L’ultimo anno della Scuola di Giurisprudenza, per Čajkovskij, è ricco ed appagante come vita di società, in cui ottiene buoni successi anche nel campo femminile e riuscendo simpatico a tutti («Un giovanotto proprio per bene», scrive la Berberova).

Giugno 1854: la madre, suo punto di riferimento affettivo, muore a seguito di un’epidemia di colera e, il padre, il giorno dopo il funerale, ha un malore e sfugge alla morte.
1878: Čajkovskij così, scrive: “È stata la mia prima esperienza di profondo dolore. La sua morte ha avuto un’influenza enorme su ciò che poi è stato di me e della mia intera famiglia Ogni momento di quel giorno spaventoso è vivido in me come fosse ieri».

1854: scrive la prima composizione che il musicista considera degna di essere conservata: “Anastasie-Valse”, dedicata alla governante Anastasija Petrovna (pubblicata nel 1913).

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Filmografia:

Chopin è il vero rappresentante dell’artista romantico, e la sua vita breve e tormentata si è ben prestata a varie trasposizioni filmiche.
Infatti, è stato soggetto di numerosi film e biografie con diversi livelli di accuratezza storica.

. L’eterna armonia (1945) di Charles Vidor, con Cornel Wilde come Chopin
. La nota blu (1991), di Andrzej Żuławski, con Janusz Olejniczak, Marie-France Pisier, Sophie Marceau, Noemi Nadelmann
. Chopin amore mio (1991), con Hugh Grant nel ruolo del musicista
. Chopin: desiderio d’amore (Pragnienie miłości) (2002), di Jerzy Antczak, con due versioni, in polacco e in inglese, con attori britannici

Luoghi e monumenti dedicati a Chopin:

. L’aeroporto di Varsavia-“Chopin”.
. L’asteroide “3784 Chopin”.
. Un monumento in bronzo nel parco Łazienki a Varsavia.
. Una statua di bronzo raffigurante Chopin creata da Józek Nowak e inaugurata nel Dichtergarten a Monaco di Baviera nel 2010.
. Un monumento nel Parc Monceau a Parigi.
. Un monumento al Pomnik Park Jordana di Cracovia.
. Il Museo “Fryderyk Chopin” a Varsavia.
. La casa natale di Fryderyk Chopin a Żelazowa Wola, museo biografico sul compositore.
. Centro artistico europeo “Fryderyk Chopin” a Sanniki.

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Dagherrotipo di Louis-Auguste Bisson scattato a Fryderyk Chopin, nel 1849.
È la prima fotografia conosciuta di Chopin.
Sono visibili i segni della malattia.
https://it.wikipedia.org/wiki/File:Frederic_Chopin_photo.jpeg


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Ultimo periodo della vita di Chopin:

Terminata la relazione con George Sand e l’aggravarsi della malattia, Chopin cade in una depressione che, forse, accelera l’avvicinarsi della sua morte.
Dopo aver lasciato Nohant, le composizioni sono ridotte sempre più.
Agosto 1849: il suo ultimo lavoro è una “Mazurca in Fa minore”, scritta con mano incerta e quasi indecifrabile.
In questo anno, viene scattato a Fryderyk Chopin il dagherrotipo di Louis-Auguste Bisson, la sua prima fotografia conosciuta, nella quale sono visibili i segni della sua malattia

Durante l’ultimo periodo di vita, Chopin viene assistito e sostenuto finanziariamente dalla sua mecenate/allieva scozzese, Jane Stirling, che insieme alla sorella Mrs. Erskine – nel 1848 – convince Chopin a trasferirsi in Inghilterra, ma il clima rigido inglese e la vita mondana in cui lo trascinano peggiora la sua salute, per cui, rientrato a Parigi, si aggrava improvvisamente.

Prima, si trasferisce in un luminoso appartamento sulla collina di Chaillot; poi al n. 12 di Place Vendôme e, qui, il 17 ottobre del 1849, alle 2 del mattino, vene dichiarato morto.
Negli ultimi momenti di vita, lo assistono la sua più amata sorella, Ludwika, e gli intimi, Eugène Delacroix, Delfina Potocka – alla quale aveva dedicato uno dei suoi valzer più famosi.

Il funerale viene organizzato in tredici giorni e si svolge il 30 ottobre nella “Chiesa de la Madeleine” in presenza di una grande folla e di molti grandi del mondo musicale fra cui Franz Liszt, Meyerbeer, Berlioz.
L’orchestra del Conservatorio esegue il “Requiem” di Mozart e l’organista Lefébure-Wély suona i due “preludi, op. 28 n. 4” e “n. 6”.

La bara viene trasportata in mezzo alla folla al suono della celebre “Marcia Funebre” orchestrata da Napoléon Henri Reber e viene seppellito a Parigi nel Cimitero di Père-Lachaise.

Il suo cuore è conservato a Varsavia, nella Chiesa di Santa Croce.

L’amata Polonia:

Chopin: i suoi svecchiamenti nello stile, nella forma musicale, nell’armonia e la sua comunione della Musica con il Nazionalismo, influenzano tutto il periodo romantico e successivo.

La sua vita sentimentale, la sua collaborazione indiretta con l’insurrezione polacca, il suo successo cosmico di musicista e la morte successa prima del previsto hanno conferito a Chopin l’alone de “il musicista romantico per eccellenza”.
La produzione chopiniana è rappresentata dai brani della sua amata Polonia, fra cui presenziano mazurche, polonaise, Krakowiak, Gran Rondò da concerto e Fantasia su arie polacche (questi ultimi due sono per pianoforte ed orchestra).

Fra quanto riconosciuto a lui, troviamo banconote, monumenti (famosa la statua creata a Varsavia nel 1926, distrutta dai Nazisti durante l’occupazione nella Seconda Guerra Mondiale e successivamente ricostruita), vie, l’aeroporto di Varsavia-Chopin, vari Premi, un teatro dedicato solo alle sue composizioni, in cui tutto l’anno si alternano vari esecutori.

1927: a Varsavia, si inizia ad organizzare l’importantissimo Concorso Pianistico Internazionale “Frédéric Chopin”, primo concorso monografico del mondo, fondato da Jerzy Żurawlew e che, fra gli altri, lancia Maurizio Pollini.

Tra i più celebri studiosi del musicista polacco figurano Gastone Belotti e Jarosław Iwaszkiewicz.

Il necrologio scritto da Berlioz il 27 ottobre 1849:
“In genere era sulla mezzanotte che lui si abbandonava, quando i grandi cravattoni se n’erano andati, quando l’argomento politico del movimento era stato esaurientemente dibattuto, quando tutti i maldicenti avevano dato fondo ai loro aneddoti, tutte le insidie erano state tese, tutte le perfidie consumate, solo allora, obbedendo alla muta richiesta di due occhi intelligenti, diveniva poeta e cantava gli ossianici amori degli eroi dei suoi sogni… i dolori della patria lontana, la sua cara Polonia, sempre pronta a vincere e sempre battuta”.

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Chopin e George Sand:

1836: durante una serata musicale, attraverso Franz Liszt, per la prima volta, Chopin incontra George Sand; la scrittrice gli è maggiore di sei anni e, da subito, non gli risulta simpatica, in particolare a causa della sua fama di donna chiacchierata e molto disinvolta.
In precedenza, George Sand è stata l’amante di Alfred de Musset e del geloso Félicien Mallefille, istitutore del figlio Maurice.
Dopo tale serata, cerca ancora di avvicinarsi a Chopin; nella primavera del 1838, fa in modo di farsi invitare ad alcune serate musicali quando il musicista suona e che, ancora depresso per la storia finita con Maria Wodzińska, alla fine si lascia coinvolgere e cade nelle braccia della Sand, ossia “dell’ amore compiuto” (parole della stessa George Sand).
Giugno 1838: la loro relazione ha inizio e la testimonianza è data dai numerosi biglietti del musicista all’amico Wojciech Grzymała, pur volendo – Chopin – tenere nascosta tale relazione.
Chopin, persona riservata e polacco legato ai principi religiosi, cerca di tenere la relazione nascosta il più possibile, anche perché la famiglia non approverebbe.
I due differiscono in tutto: Chopin è riservato, pudico, raffinato, a differenza della Sand che ostenta l’avanzamento delle sue idee e parla delle sue avventure considerate scandalose per l’epoca.
Chopin è diffidente, ma la sua volontà viene scalfita dal carattere intrigante, dall’intelligenza e dalle attenzioni materne della Sand con la quale intrattiene un rapporto controverso .

Infatti, in ottobre, Chopin, George e i due figli di lei (Maurice e Solange) partono per Palma di Maiorca separatamente, ritrovandosi a Perpignan da cui ripartono insieme alla volta di Barcellona e, da qui, arrivano alla Certosa di Valldemossa, nel Nord-Ovest dell’isola, dove trascorrono l’inverno in tre stanze con giardinetto.
Maiorca, all’epoca di Chopin, è un’isola selvaggia, un’oasi di tranquillità, a differenza della Spagna in cui la guerra civile imperversa.
All’inizio, il clima, è buono, ma peggiora dopo piogge insistenti, per cui la salute di Chopin si aggrava.
Comunque, il soggiorno a Maiorca con la Sand, avvenuto tra il 1838 e il 1839, è breve ma si rivela come uno dei suoi periodi compositivi più produttivi.

Febbraio 1839: viaggio di tutti da Valldemosa a Marsiglia dove rimangono per tre mesi, dopodiché, in giugno partono per Nohant.
La loro convivenza si svolge con la continua presenza dei figli di George, sia a Nohant, sia a Parigi in cui vivono in due appartamenti adiacenti e in cui, durante l’estate, a Nohant, risiedono con alcuni ospiti, tra cui Delacroix e Pauline Viardot con il marito.
In quel periodo, Chopin non si trova a suo agio con gli altri amici della Sand: sono quasi tutti Repubblicani e Socialisti, e la sua salute delicata lo rende mutevole e, a prima vista, capriccioso.

1847: viene pubblicato il romanzo “Lucrezia Floriani” di George Sand dove il protagonista, il principe Karol, “esclusivo nei suoi sentimenti e nelle sue esigenze”, sembra che rappresenti la figura di Chopin, ma la scrittrice smentisce la circostanza.

Chopin, all’età di trent’anni, è sempre più malato: pesa meno di 45 chilogrammi (ha l’altezza di circa 170 centimetri) e, quando riceve la notizia della morte del padre (nel 1844), la sua salute si aggrava a causa del dolore.

Dopo circa nove anni trascorsi insieme, l’incompatibilità fra Chopin e George Sand emerge evidentemente a causa della difficoltà del musicista di convivere con Maurice; tale causa è data dalla gelosia del ragazzo che vede in Chopin un estraneo che gli impedisce un buon rapporto con la madre (psicologicamente, potrebbe trattarsi del complesso di Edipo e di “mammismo”).
Inoltre, Chopin interviene ritenendo un errore il matrimonio di Solange, con lo scultore Jean-Baptiste Clésinger, in quanto crede l’uomo una persona infida.
Chopin è empatico e sente grande simpatia e affetto per Solange, specialmente per via delle sue sofferenze interiori, dal momento che la ragazza non è mai stata amata dalla madre; madre che l’ha sempre ritenuta inferiore al fratello, facendo, inconsciamente scattare una molla emotiva secondo la quale Maurice è il prediletto ma, in effetti, è “un debole” mammista-mammone e Solange è privata della sua dignità e della sua sicurezza interiore.

La scrittrice accusa Chopin di esserle nemico e lo lascia e si rivedono per l’ultima volta nel marzo del 1848, sul pianerottolo dell’abitazione di un’amica comune, la contessa Marliani, ma si salutano con freddezza.

Il periodo che precede la rottura con George lascia un’impronta importante sulla sua creatività e sulla vita sociale.

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